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Serena Sensini
Serena Sensini

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Voglio diventare... SEO Strategist

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Ciao, sono Francesca e sono un’amante dei gatti, del buon cibo e del True Crime. Sono_leggermente_ appassionata di questioni di genere, tanto da aver dedicato la mia tesi di laurea magistrale proprio agli stereotipi nelle serie TV (ovviamente Crime).

A livello professionale mi definisco un’umanista a cui piacciono i dati.

Dopo essermi laureata in Studi Internazionali e Scienze della Comunicazione, ho attraversato per qualche anno la fase critica dei tirocini (poco) formativi e sottopagati, senza smettere però di formarmi in autonomia e con progetti personali.

Per puro caso nel 2018 sono arrivata in un’agenzia SEO , nella quale sono rimasta fino a pochi giorni fa. Sono infatti in procinto di iniziare una nuova avventura come Content Specialist in un’altra realtà!

In cosa consiste il ruolo di SEO Strategist?

Non sono sicura che quello di SEO Strategist sia un Job Title effettivamente “codificato”. È un ruolo che mi sono attribuita perché mi sembrava idoneo a definire la mia attività quotidiana all’interno del team. Non avendo le competenze pratiche a livello informatico per potermi definire una SEO Specialist a tutto tondo, ma nemmeno occupandomi esclusivamente di SEO Copywriting, ho pensato di “affibbiarmi” il titolo di stratega.

Nel corso degli anni il mio ruolo è andato evolvendosi, passando dalla creazione e ottimizzazione di contenuti e definizione di piani editoriali per i siti dei clienti, allo sviluppo di strategie basate sui dati, passando per SEO Audit , ottimizzazioni tecniche e contenutistiche e follow-up degli andamenti.

Riassumendo in poche parole: il SEO Strategist è una figura che analizza il settore e i dati organici a disposizione per sviluppare una strategia SEO a tutto tondo, sia On Site che Off Site e si affianca, laddove non arriva da solo, a figure IT per le implementazioni più consistenti.

Qual è la soft skill più importante che deve possedere una SEO Strategist?

Credo siano necessarie diverse skills, tra cui la flessibilità mentale e il problem solving.

Ma credo che la regina delle soft skills per fare SEO sia il pensiero laterale: mai come negli ultimi anni ci sono stati aggiornamenti dell’algoritmo di Google, che hanno rimescolato le carte e cambiato i fattori che determinano il posizionamento di un contenuto.

Per quanto alcuni elementi di ranking non siano mai stati messi in discussione, è fondamentale saper analizzare, cogliere i segnali e prendere delle decisioni spesso basate su dati a bassa storicità e sulla propria esperienza, pensando fuori dai canoni che potevano essere veri fino a qualche settimana prima (ovviamente partendo da un buon set di conoscenze teoriche e pratiche).

Da persona quadrata quale sono, sono spesso rimasta stupita di quanto alcune decisioni_istintive_ abbiano portato più risultati di quelle prese razionalmente, manuale alla mano.

La maggior parte di noi utilizza i social per parlare dei propri successi, ma la realtà è che siamo quel che siamo grazie al 90% dei nostri errori. Racconta il tuo più grande fallimento da quando lavori nel settore, che però ti ha reso ciò che sei.

Sarò sincera: non sopporto i post motivazionali , né tantomeno i professionisti su LinkedIn che usano lo storytelling per raccontare anche il più banale degli avvenimenti. Questo perché credo, come dici tu, che a formarci siano i nostri errori e i periodi neri che ovviamente non andiamo a raccontare sui social (guai risultare fragili e fallaci in questa_società della performance_!).

Faccio fatica però ad associare il termine fallimento all’ambito lavorativo. Nel corso di questi anni ho commesso diversi errori, fortunatamente mai tanto gravi da compromettere il successo di un sito, ma ho sempre pensato che in questi casi è fondamentale prendersi la propria responsabilità con l’azienda e con il cliente e intervenire per risolvere al meglio.

Solo in questo modo si può imparare e non perseverare nell’errore, perché lo “sbattimento” affrontato la volta precedente non lo scorderemo con facilità. Questo ci renderà molto più responsabili e consapevoli delle nostre azioni.

E poi bisogna anche imparare ad essere clementi con sé stessi/e - come ripeto sempre, solo chi non fa, non sbaglia mai - a delegare e a fidarsi del proprio team.

Come fare per diventare una SEO Strategist?

Forse andrò controcorrente, ma credo che per fare bene SEO sia importante avere una formazione umanistica in Semiotica o in Comunicazione, non tanto per le competenze in sé (quelle si possono sempre acquisire con il tempo), quanto per la forma mentis più aperta che solo le facoltà umanistiche sanno darti.

Questo non toglie che sia fondamentale integrare le competenze tecniche, magari con libri e
corsi mirati. Indispensabile è fare pratica con i tool principali per la SEO (Screaming Frog,Search Console, GA4, ecc…) in modo da familiarizzare anche con l’interpretazione dei dati e facilitare la comprensione del processo causa-effetto.

Ho aperto il mio primo blog a 15 anni, ai tempi di Fotolog e MySpace, e iniziato a smanettare con HTML e CSS quando non sapevo nemmeno si chiamassero così: per me erano solo le “cose” che dovevo fare per personalizzare esteticamente il sito e mettere online i miei pensieri.

Credo proprio che il modo migliore per imparare sia questo: aprire un proprio sito e sbatterci la testa, andando a tentativi, sbagliando e applicando ciò che si è imparato.

Parlando di successi, qual è il tuo prossimo obiettivo? Quale ruolo vorresti ricoprire entro i prossimi 3 anni?

Il mio obiettivo a brevissimo termine, come anticipavo poco fa, è quello di buttarmi a capofitto nel nuovo ruolo di Content Specialist che andrò a ricoprire.

Onestamente sono molto fan del “qui e ora” per quanto riguarda il lavoro, perché le ambizioni possono cambiare da un giorno all’altro, così come rimanere le stesse per anni.

Di una cosa però sono certa: voglio continuare a lavorare con i contenuti in modo da tenere sempre viva la mia passione per la scrittura.

Conosci il tema gender gap in ambito STEM? Se sì, come fare per superarlo?

Come dicevo in apertura, sono molto coinvolta nei discorsi che riguardano la disparità di genere e l’emancipazione femminile. Credo il gender gap in ambito STEM abbia radici legate allo stereotipo per cui il maschio ragiona in maniera analitica, mentre la donna prende le proprie decisioni sulla base dell’emotività.

Questo stereotipo si traduce fin dall’infanzia in una sorta di “ruolo assegnato”: le bambine vengono “naturalmente” spinte verso le materie umanistiche, mentre i bambini verso quelle scientifiche. Mancano dei modelli di riferimento storici e attuali per le ragazze e, allo stesso tempo, TV e Social Network rappresentano la donna quasi sempre come figura secondaria, subalterna o limitata a particolari ambiti, a scapito delle sue competenze.

Credo che per superare il gender gap ognuno dovrebbe fare il suo: bisognerebbe in primis intervenire fin dall’infanzia in famiglia e a scuola, dando la possibilità ai bambini e alle bambine di sviluppare con il gioco e lo studio le proprie potenzialità a 360° , senza alcun tipo di limite attribuito al genere o inconsciamente imposto dalla società.

In secondo luogo, è importantissimo creare una narrazione diversa del femminile , rappresentando più spesso modelli positivi e di successo in ambito accademico (per la mia generazione sono state Margherita Hack e Rita Levi Montalcini, per quelle attuali potrebbe essere, ad esempio, Samantha Cristoforetti).

Bisogna, in sostanza, superare l’errata convinzione secondo cui in base al genere si sia più portati per una materia, piuttosto che per un’altra.

D’altronde, diversi dati dimostrano come le donne iscritte alle facoltà STEM, seppur in quantità inferiore, abbiano delle carriere accademiche più brillanti rispetto ai colleghi uomini, palesando la totale assurdità dello stereotipo che ci portiamo dietro da secoli.

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